Sei racconti per dire: basta alla violenza sulla donne


Cultura / martedì, Agosto 14th, 2018

“Non devo farmi trattare così … mai e poi mai …” ecco cosa pensi quando l’ultima pagina del libro Un, due, tre, stella! Storie di donne e di ordinaria violenza di Antonia Guarini, Poiesis Editrice, si chiude dietro il dramma, sulle storie di donne e di dolore, sulla quotidianità che nasconde e che ottunde i sensi e la sensibilità. Una lettura che prende lo stomaco, un dolore sordo che si trasforma in rabbia, in ribellione contro la ferocia degli uomini.

I racconti di Antonia Guarini svelano la soggiogazione, quella subdola, che entra nel sangue e che non va via, quel senso di impotenza che rimane insieme alla paura di non poter cambiare vita. Come un destino ineluttabile scorrono gli anni delle protagoniste, il tempo non ha peso, le parole lievi ne portano il fardello e solo episodi scatenanti sembrano rivelarne la consistenza eburnea. Le donne del libro sono depauperate della propria esistenza a fronte di un amore, quando c’è, che cancella l’individualità trasformandola in proprietà privata. Simili ad una goccia cinese i giorni si ripetono come se non appartenessero alle figure femminili, dall’esterno guardano una vita scorrere tra routine e infelicità, è l’inganno che tiene vive queste donne, o meglio l’illusione di una normalità, grigia e senza amore.

La lettura è fluida e liquida, appassionante, intrigante e allo stesso tempo amara. Le storie sembrano appartenere ad un’altra epoca, ambientate in un mondo contadino e arcaico. Ma i racconti sono moderni e reali, Antonia Guarini li ha contestualizzati al Sud, nella Puglia dove vive e raccoglie le testimonianze dolorose di donne che hanno bisogno di aiuto e dove ancora permane un profondo maschilismo patriarcale.

L’autrice è psicoanalista da anni in un consultorio nella provincia di Brindisi dove si avvicendano ogni giorno storie di vite distrutte, di catene che non si spezzano e di radici così profonde che scavare per scoprirle è un dolore atroce. La Guarini si è ispirata a queste storie per narrare la violenza che si consuma nella relazione con l’ “altro”, un “altro” culturale, portatore di un’eredità che vede la donna sottomessa e controllata. A trasmettere tale imposizione sociale non è solo l’uomo di turno, secondo la scrittrice: “La cultura passa attraverso il latte materno”, nel libro sono le madri ad essere forse le più violente, in alcuni casi supportano l’atteggiamento patriarcale e si rendono parte di esso. In Tic tac: imparare a fare la femmina la madre della protagonista incita il marito a colpire la figlia con la cintura dei pantaloni: “Dalle! Dalle! Che si deve insegnare” … a dire sempre sì, a piegare la testa, a ubbidire, ciecamente e incondizionatamente.

I sei racconti di Un, due, tre, stella! sono retrospettivi, vissuti come un incubo irreale, come un sogno da cui ci si sveglia ancora intontiti. La narrazione è fatta alla fine di un percorso di terapia psicologica, alla svolta interiore che cambia la visione del tutto, è il salto che porta queste donne alla consapevolezza di un’esistenza diversa, è un cambiamento fondamentale che allontana dal dolore ma che ne mantiene vivo il ricordo.

Le storie si intrecciano con l’educazione e con ambiti sociali modesti. Per necessità le donne lavorano più degli uomini ma il loro destino è già scritto, fisso, sono segregate nel ruolo di mogli e madri, destinate alla negazione del proprio corpo, della felicità e della bellezza, vista prevalentemente come un problema. Per le protagoniste non esiste il piacere legato alla fisicità e non è prevista la sessualità che è vissuta solo come un mezzo di riproduzione. Anche il rapporto con i figli subisce tale rifiuto e così il contatto e l’allattamento diventano, per una delle protagoniste, motivo di ansia e di schifo: “Nessuno di loro due ho allattato … Mi disperavo per questa mia sensazione … ma non potevo avvicinarmi a loro … non riuscivo a toccarli, ad accarezzarli …”. L’impossibilità di esprimere la propria femminilità e un rapporto difficile con il corpo trova le fondamenta nell’abuso infantile, nel desiderio di fuga dalla famiglia, nella consapevolezza di non avere potere decisionale, di essere considerata solo un oggetto.

Le sei storie diverse, le sei solitudini descritte in brevi e intensissimi racconti da Antonia Guarini delineano con precisione un quadro difficile, purtroppo attualissimo, che con una prosa accattivante e coinvolgente aiuta a pensare: “Non devo farmi trattare così … mai e poi mai …”.

pubblicato su Alias, Il Manifesto, 14 ottobre 2017

ph. Manoocher Deghati